Volendo suddividere l’opera di Gustav Mahler, e quindi il suo universo sinfonico in due cicli, pare logico e naturale - tenuto conto del progredire e della trasformarsi del suo linguaggio espressivo - chiudere il primo con la “Quinta Sinfonia”, ed iniziare il secondo con la “Sesta” (detta comunemente “La tragica”), opinione condivisa da Giuseppe Pugliese il quale, nei preziosi appunti di un memorabile ciclo di radiotrasmissioni Rai curato negli anni ’70 del secolo scorso e dedicate appunto a Mahler, osservava che quest’ultima rappresenta il confine tra due periodi ben distinti, riepilogo e congedo da forme e contenuti musicali precedenti per approdare a nuovi territori espressivi, osservando a margine che « forse, verrà il tempo in cui gli studiosi concorderanno sul fatto che con la Sesta Sinfonia qualcosa nel mondo, nel linguaggio, forse nei miti più tenaci della fantasia di Mahler cambia profondamente», pure se «la continuità, l’unità del tempo, del suo divenire, non per questo vengono compromesse». E citando un celebre giudizio di Theodor Adorno, là dove si afferma che il compositore di Kalischt «anticipa terribilmente con mezzi passati cio che deve venire», commentava che in realtà proprio ad iniziare dalla “Sesta” i termini si dovrebbero capovolgere; si dovrebbe dire, piuttosto, che «Mahler esprime con mezzi a venire il passato: intendo immagini, espressioni, contenuti del’Ottocento, affidati ad un linguaggio armonico, strumentale, a forme capaci di proiettarsi fino alle frontiere della nuova musica». Quegli aspetti che, guarda caso, attirarono l’interesse e l’ammirazione di tre musicisti rivoluzionari tra loro più o meno coetanei, intenzionati a portare, ognuno secondo il proprio istinto, alle estreme conseguenze il cammino da lui tracciato: Arnold Schőnberg, Anton Webern, Alban Berg.
Composta tra il 1904 ed il 1905, la “Sesta Sinfonia” esteriormente è la più ‘normale’ delle sinfonie di Mahler, nella sua scansione nei canonici quattro tempi; ma già il fatto che dopo la prima esecuzione (Essen, 27 maggio 1906) il suo creatore avesse spostato il tempo lento - un Andante - dal terzo posto al secondo, ponendolo subito dopo l’Allegro iniziale (così come riportato nell’edizione a stampa) per poi pentirsi e rimetterlo dopo lo Scherzo, la dice lunga sui travagli interiori del suo autore. Ma è anche per molti ascoltatori la sinfonia più ‘difficile’, vuoi per il suo non agevole linguaggio, vuoi per la notevole complessità strumentale – il quieto lirismo e la piana discorsività della “Quarta” e di “Das Lied von der Erde” stanno agli antipodi - anche se una parte della critica ufficiale la considera la più perfetta e compiuta del suo catalogo.
Giunte al loro 34° capitolo, le Gustav Mahler Musikwochen (Settimane Musicali Gustav Mahler) di Dobbiaco si sono aperte proprio con un’ammirevole esecuzione di questo capolavoro sinfonico di grandi dimensioni, protagonisti l’Orchestra Filarmonica di Brno – una delle più gloriose compagini europee, fondata nel 1870 da Leoš Janáček – ed il direttore Caspar Richter. Sulla precisione dei ranghi dell’orchestra morava, sulla loro compattezza, sul suono morbido degli archi e sulla lucentezza dei fiati, non serve spendere troppe parole. Con essa il direttore tedesco, a lungo responsabile (1972-1984) della Deutsch Oper di Berlino, ha trovato una salda e perfetta intesa, ad iniziare dal complesso e massiccio episodio iniziale del primo movimento - l’Allegro energico ma non troppo – che richiede grandi doti direttoriale nonché un massiccio impegno degli strumenti. L’impressione generale è che Richter voglia accentuarne il ritmo quasi frenetico e l’aggressività timbrica, restituendone tutta l’estroversione e lo splendore sonora, cercando tuttavia di mantere l’orchestra aliena da una rabbiosa e nevrotica tensione. Soluzione di mezzo, adottata da quasi tutti i grandi direttori (vedi Bernstein, Solti e Abbado, mentre Kubelik scivola verso il dionisiaco) e per questo pienamente condivisibile. Grande fascino sonoro, giusta tensione e bel nitore strumentale anche nello Scherzo seguente, di certo il movimento più riuscito della composizione: pagina di grande carattere drammatico ma allo stesso in magico equilibrio tra contenuti tradizionali e segni del tempo passato, ed un linguaggio strumentale che appare invece chiaramente già proiettato nel futuro. Il bellissimo tema principale degli archi, al pari del canto trattenuto del corno solista sorretto dagli accordi delle arpe e della celesta, come ogni rilievo timbrico dell’Andante - una stupenda ‘réverie lyrique’ alla francese, dolce e cantabile, non immemore della sognante “Pavane” di Ravel - hanno trovato con Richter sincero abbandono sentimentale, ma anche precisa attenzione; e per il complesso e grandioso Finale, dall’altissima ed elaborata – ed in certi tratti sfuggente ed ambigua - costruzione concettuale, il direttore lubecense ed i filarmonici cechi hanno trovato una convincente soluzione di strigatezza ritmica, procedendo con una chiarezza rigorosa che non ne sacrificava l’impetuosità tellurica, l’eroico vigore, l’ampiezza dinamica, ma soprattutto l’acutissima esplorazione timbrica condotta dal compositore austriaco agli estremi delle possibilità sonore di una grande orchestra.
Grandissimo successo e calorosa accoglienza da parte del pubblico raccolto nell’auditorium intitolato a Mahler, all’interno del Centro Culturale Grand Hotel di Dobbiaco, con una pioggia di ovazioni nei confronti degli artisti.
Le Settimane Musicali continuano con vari appuntamenti giornalieri sino al 27 luglio, quando saranno chiuse da un concerto sinfonico della Bundesjugendorchester diretta da Markus Stenz, con il mezzosoprano Stella Doufexis (il programma completo nel sito www.gustav-mahler.it ).